L’infezione Klebsiella pneumoniae può essere individuata tra le cause o concause della morte del paziente.

Infezione ospedaliera

L’infezione Klebsiella pneumoniae può essere individuata tra le cause o concause della morte del paziente.

Lo affermano i due consulenti tecnici nominati in un giudizio in cui gli eredi, la moglie e il figlio, nonché i prossimi congiunti di un paziente dell’ospedale Perrino di Brindisi convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Brindisi, l’Azienda Sanitaria Locale, per ivi sentir accertare e dichiarare la sua responsabilità per l’infezione nosocomiale contratta dal paziente a cui conseguiva la morte dello stesso.

L’accertamento giudiziale

Il Giudice disponeva una CTU al fine di accertare se il paziente, ricoverato per un quadro di emorragia cerebrale, nel corso della degenza all’ospedale Perrini di Brindisi, avesse effettivamente contratto un’infezione sostenuta da germi gram-negativi multiresistenti (Acinetobacter baumannii, Klebsiella Pneumoniae carbapenemasi produttrice) e se essa fosse tale da essere considerata la causa o la concausa della sua morte.

Nell’elaborato peritale di legge che il paziente “ha acquisito un’infezione nel corso della degenza e detta infezione deve essere propriamente considerata “correlata all’assistenza (ICA)” in quanto, come da definizione internazionale, “non era presente o in incubazione al momento del ricovero e si è manifestata dopo almeno 48 ore dall’inizio della degenza”.

E, pertanto, pur nel severo quadro clinico di base del degente (emorragia cerebrale bilaterale post-traumatica e severa broncopatia cronica ostruttiva) è evidente, affermano i consulenti tecnici, che “il rapido e progressivo peggioramento del quadro clinico del paziente è attribuibile ad uno stato settico, realizzatosi nel corso della degenza e sostenuto fondamentalmente da germi gram-negativi multiresistenti ad acquisizione intraospedaliera“.

Concausa o causa del decesso?

I Consulenti tecnici ritengono, quindi, che “l’infezione da germi gram negativi multi-resistenti contratta dal paziente ha determinato un severo processo settico. Avuto riguardo al grave stato clinico anteriore, l’intervento della sepsi ha agito come concausa nel determinismo del decesso, il quale, verosimilmente, non si sarebbe verificato o si sarebbe verificato in epoca successiva”.

Un’ICA è inquadrabile in termini di complicanza colposa in tutti quei casi in cui non risulti la perfetta dimostrazione di disporre di una filiera profilattica e di sanificazione ma anche di procedure codificate nel corso dell’intervento volte alla prevenzione, al controllo e al contrasto delle infezioni. La prevenzione, che costituisce il momento fondamentale del percorso per ridurre l’incidenza delle ICA, comprende interventi organizzativi quali la sorveglianza, il controllo, il lavaggio della mani, nonchè il rispetto di taluni criteri architettonici, in modo tale da ridurre la contaminazione, facilitare la disinfezione e costituire zone filtro nei percorsi effettuati sia dai materiali che dai pazienti. Le epidemie di infezioni ospedaliere sono infatti spesso attribuibili a errori o inadempienze nella pratiche assistenziali e sono quindi, per definizione, prevenibili.

In sostanza la consulenza tecnica ha accertato, seppure in via presuntiva, che l’infezione Klebsiella pneumoniae è stata contratta in ospedale e che l’infezione batterica è stata una concausa della morte del paziente. Naturalmente tale accertamento, se sarà condiviso dal Tribunale, darà diritto agli attori ad ottenere il risarcimento del danno subito e costituirà un precedente importante per casi analoghi.

Fonte: https://www.studiocataldi.it/articoli/46141-la-responsablita-dell-asl-per-infezione-ospedaliera-da-klebsiella-pneumoniae.asp
(www.StudioCataldi.it)