La Cassazione fa chiarezza sui contratti di soccida precisando che soccidante e soccidario possono portare in detrazione l’Iva sull’acquisto dei beni strumentali all’attività.
Contratto di soccida
La Suprema corte fa chiarezza sui contratti di soccida nell’ordinanza n. 15764/2023 (sotto allegata), esprimendosi su una vicenda avente ad oggetto l’impugnazione di una sentenza della CTR che aveva ritenuto legittimo il diniego di rimborso Iva in relazione a fatture di acquisto di beni strumentali all’attività di allevamento in soccida esercitata in forza del contratto di soccida tra il soccidario e il soccidante.
Il contribuente lamenta davanti ala Palazzaccio che la CTR ha negato il rimborso sull’erroneo assunto che la commercializzazione dei prodotti era stata effettuata dal solo soccidante mentre il primo si era limitato a fruire degli utili per i quali il contratto di soccida aveva stabilito, quale modalità esclusiva di ripartizione dell’accrescimento, la monetizzazione della quota di riparto spettante al soccidario. La soggettività passiva del soccidario, infatti, a suo dire, derivava dalla natura stessa del contratto agrario in essere, senza che assumesse rilievo la distinzione tra soccidante e soccidario; in ogni caso, la cessione al soccidante della quota parte dei prodotti era stata regolarmente fatturata, con separata indicazione dell’Iva dovuta in rivalsa, sicché il contribuente aveva effettuato regolari operazioni imponibili, senza che rilevasse, a tal fine, che la cessione fosse avvenuta al soccidante anziché a terzi soggetti.
Gli Ermellini gli danno ragione richiamando la sentenza n. 987/2022 la quale ha precisato che “la circostanza che l’attività di allevamento viene svolta mediante il contratto di soccida semplice comporta che la stessa è da considerarsi una attività agricola, come si desume sia dalla sedes materiae (essendo il contratto di soccida inserito tra i contratti tipici agrari) che dalla espressa formulazione dell’art. 2170, cod. civ., secondo cui nella soccida il soccidante ed il soccidario «si associano per l’allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame», che, infine, dall’interpretazione sistematica, atteso che al soccidante è riconosciuta la direzione dell’impresa, quindi partecipa del rischio di impresa, al pari del soccidario» sicché «gli stessi sono contitolari dell’impresa di allevamento e, quindi, sono entrambi imprenditori agricoli: il dato normativo, invero, attribuisce ad entrambi lo status di contitolari dell’impresa posto che, come detto, per il tramite del contratto di soccida, l’impresa è svolta congiuntamente dal soccidante e dal soccidario, sia pure con obbligazioni diverse»”.
Ne consegue che, essendo entrambi imprenditori agricoli, “sia il soccidante che il soccidario, con riguardo alla cessione dei prodotti di cui alla tabella A, parte I, allegata al d.P.R. n. 633/1972, derivanti dal comune esercizio dell’impresa di allevamento, sono soggetti passivi ai fini Iva e possono avvalersi del regime speciale di detrazione dell’Iva di cui all’art. 34 d.P.R. n. 633 del 1972 per le operazioni compiute verso terzi”.
A maggior ragione, dunque, per la S.C., “sia il soccidante che, come nella specie, il soccidario possono portare in detrazione l’Iva relativa agli acquisti di beni strumentali per l’esercizio dell’attività e, in ipotesi, ricorrendone i presupposti di legge, chiedere il rimborso del credito Iva medesimo”.
Per cui il ricorso è accolto.
Fonte: https://www.studiocataldi.it/articoli/45924-soccida-la-cassazione-fa-chiarezza.asp
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