Con la legge di bilancio 2023 il legislatore mette fine alla disputa tra Comuni e Province sulla spettanza del canone unico nei centri abitati. Confermata la linea del Mef sostenuta dalle Province.
Intervento del legislatore sulla questione dei centri abitati
Con la legge di bilancio 2023 il legislatore è intervenuto per correggere l’infelice formulazione del comma 818 dell’articolo 1 Legge n. 160/2019 mediante soppressione delle parole “di Comuni”, sì che «Nelle aree comunali si comprendono i tratti di strada situati all’interno di centri abitati con popolazione superiore a 10.000 abitanti, individuabili a norma dell’articolo 2, comma 7, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n.285».
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L’intervento del legislatore è da ritenersi senz’altro opportuno, non foss’altro per le ripetute richieste di segno opposto che anche in questa occasione erano state avanzate dall’ANCI, l’Associazione Nazionale dei Comuni (v. Sul canone unico l’Anci ci riprova).
Con questo intervento il legislatore mette fine alla disputa tra Comuni e Province sulla spettanza del canone nell’ipotesi di occupazione delle strade provinciali che attraversano centri abitati con popolazione fino a 10.000 abitanti di Comuni con popolazione complessiva superiore a 10.000 abitanti.
La modifica rende ancor più evidente che il comma 818 richiama la disposizione del codice della strada per farvi rinvio, facendosi in tal modo veicolo di una norma che conferma la regola per la quale il canone per l’occupazione del suolo spetta all’Ente a cui il suolo occupato appartiene (leggi Canone unico nei centri abitati: comuni e province in ordine sparso).
A queste conclusioni (che chi scrive ha sostenuto fin dall’inizio) era alla fine pervenuto anche il Mef con il parere prot. 35089 del 9 luglio 2021 (vedi Sul canone unico nei centri abitati il Mef dà ragione alle province) poi confermato in occasione di Telefisco 2022 (v. Canone unico e rivincita delle province).
Nel relativo dibattito si era avuto modo di dimostrare anche l’inconcludenza e la contraddittorietà dell’argomentazione che faceva leva sull’articolo 26, comma 3, del codice della strada, ai sensi del quale: “Per i tratti di strade statali, regionali o provinciali, correnti nell’interno di centri abitati con popolazione inferiore a diecimila abitanti, il rilascio di concessioni e di autorizzazioni è di competenza del comune, previo nulla osta dell’ente proprietario della strada“, osservandosi che poiché anche l’articolo 26, comma 3, CDS fa riferimento alla popolazione del centro abitato e non del Comune nel suo complesso, esso si applica in tutti i casi, quindi sia per i centri abitati dei Comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, sia per i centri abitati dei Comuni con popolazione inferiore. E si era aggiunto che la medesima argomentazione era oltremodo infondata dato che il presupposto del canone, in virtù del comma 819, lettera a), dell’art.1 Legge n. 160/2019, non è il rilascio delle concessioni e delle autorizzazioni, bensì “l’occupazione, anche abusiva, delle aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti e degli spazi soprastanti o sottostanti il suolo pubblico” [sul punto vedi Canone unico: chi equivoca sui centri abitati).
Anche il tentativo di stabilire una continuità del nuovo canone patrimoniale con il precedente tributario della TOSAP non poteva che essere destinato all’insuccesso: l’articolo 38, comma 4, del Decreto legislativo n. 507/1993 sulla TOSAP veicolava infatti una norma d’eccezione che derogava alla regola generale richiamata dallo stesso decreto legislativo all’articolo 39, comma 1, secondo cui “La tassa è dovuta al comune o alla provincia dal titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza, dall’occupante di fatto, anche abusivo, in proporzione alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del rispettivo territorio“. E veicolando una norma d’eccezione, l’articolo 38, comma 4, si preoccupava di precisarne l’oggetto prendendo in considerazione esclusivamente i “tratti di strade statali o provinciali che attraversano il centro abitato di comuni con popolazione superiore a diecimila abitanti“: l’articolo 38, comma 4, TOSAP non parlava di “aree comunali”, né faceva riferimento al “territorio” (comunale) perché il legislatore dell’articolo 38 era perfettamente consapevole di stabilire una dissociazione tra appartenenza del suolo occupato e spettanza del tributo e lo limitava alle sole strade statali e provinciali senza comprendere quindi le strade regionali in virtù dell’autonomia patrimoniale e finanziaria riconosciuta dalla Costituzione alle Regioni nel testo vigente nel 1993. Il comma 818 dell’articolo 1 Legge n.160/2019, anche nella sua contorta formulazione originaria, non faceva nulla di tutto ciò limitandosi a mettere in relazione tra loro le “aree comunali” e i tratti di strada sì come “individuabili a norma” della disposizione del codice della strada cui faceva rinvio (sul punto vedi Canone unico nei centri abitati tra regole ed eccezioni).
L’occupazione del suolo con impianti pubblicitari
Il legislatore, intervenendo sul comma 818, ha seguito una via obbligata, quella di una regolazione conforme ai principi costituzionali, i quali non ammettono dissociazione tra appartenenza del suolo occupato e spettanza del canone dovuto sul presupposto della sua occupazione.
Questi stessi principi devono essere tenuti presenti anche nell’interpretazione dei commi 819 e 820 dell’articolo 1 Legge n.160/2019 che fissano i presupposti del canone unico e ne stabiliscono le implicazioni.
In virtù del comma 819 “Il presupposto del canone è: a) l’occupazione, anche abusiva, delle aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti e degli spazi soprastanti o sottostanti il suolo pubblico; b) la diffusione di messaggi pubblicitari, anche abusiva, mediante impianti installati su aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti, su beni privati laddove siano visibili da luogo pubblico o aperto al pubblico del territorio comunale, ovvero all’esterno di veicoli adibiti a uso pubblico o a uso privato“.
Il comma 820 a sua volta stabilisce che “L’applicazione del canone dovuto per la diffusione dei messaggi pubblicitari di cui alla lettera b) del comma 819 esclude l’applicazione del canone dovuto per le occupazioni di cui alla lettera a) del medesimo comma“.
Pur in presenza di materiale legislativo oggettivamente carente, fin dall’inizio si è ritenuto che il presupposto pubblicitario riguardasse, come per il passato, soltanto i Comuni e che, conseguentemente, alle Province non fosse applicabile il comma 820, il quale presuppone la sussistenza di entrambi i presupposti (pubblicitario ed occupazionale) in capo ad un unico soggetto attivo. E si era giunti quindi alla conclusione che l’installazione di impianti pubblicitari lungo le strade provinciali comporta necessariamente il pagamento del canone (anche) alla Provincia sul presupposto dell’occupazione del suolo pubblico (provinciale) (per questa prospettiva vedi Local tax: chi paga il canone per l’occupazione).
La conseguenza è che il comma 820 è applicabile solo ai Comuni per le installazioni di mezzi pubblicitari sulle aree comunali perché solo in tale fattispecie si realizza la sussistenza del duplice presupposto, pubblicitario ed occupazionale, oggetto della disposizione.
La c.d. «unicità» del canone va infatti riferita al soggetto attivo, non al soggetto passivo: è la Provincia che avrà un unico canone al verificarsi del presupposto di legge (l’occupazione del -proprio- suolo pubblico) ed è il Comune che avrà un unico canone al verificarsi dei due presupposti di legge (pubblicità e occupazione del -proprio- suolo pubblico).
Il soggetto passivo (l’imprenditore) che installi su suolo provinciale un impianto pubblicitario dovrà invece pagare: il canone al Comune per il presupposto pubblicitario (anziché l’ICPDPA o il CIMP) e il canone alla Provincia per il presupposto occupazionale (anziché la TOSAP o il COSAP), come è giusto e logico che sia.
Questo modo di intendere i commi 819 e 820 ha trovato una prima importante applicazione nello schema di regolamento proposto dall’UPI, l’Unione delle Province, nel dicembre 2020.
A dicembre 2020 l’UPI prende il regolamento COSAP della Provincia di Siena e vi ci innesta le disposizioni sul canone unico. Per la questione dei centri abitati l’UPI segue al tempo una linea del tutto remissiva che diverse Province (ivi compresa quella di Siena) non seguiranno. La posizione dell’UPI si fa invece chiara e netta sull’applicazione dei commi 819 e 820: “L’applicazione del canone dovuto per la diffusione dei messaggi pubblicitari di cui alla lettera b) del comma 819 della L. n.160/2019 di spettanza dell’ente Comune esclude l’applicazione del canone dovuto per le occupazioni di cui alla lettera a) del medesimo comma 819 per la misura di superficie comune e, comunque limitatamente alle fattispecie in cui l’ente Comune sia il destinatario dell’entrata anche con riferimento al presupposto dell’occupazione con impianti e mezzi pubblicitari in quanto luoghi e spazi pubblici di sua pertinenza, mentre se l’occupazione fosse di suoli e spazi pubblici della Provincia, il canone dovuto sul presupposto dell’occupazione è comunque di spettanza dell’ente Provincia” (così l’articolo 2, comma 2, dello schema di regolamento UPI del dicembre 2020).
Questa posizione verrà ribadita dall’UPI nel documento del febbraio 2021 (pubblicato a seguito degli esiti di Telefisco 2021): «(…). Occorre innanzitutto ricordare che il nuovo canone unico è di natura patrimoniale (comma 816) e va a sostituire “la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, l’imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni, il canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari e il canone di cui all’art. 27, commi 7 e 8, del codice della strada, di cui al DLgs n. 285/1992, limitatamente alle strade di pertinenza dei comuni e delle province. Il canone è comunque comprensivo di qualunque canone ricognitorio o concessorio previsto da norme di legge e dai regolamenti comunali e provinciali, fatti salvi quelli connessi a prestazioni di servizi”. Le Province restano dunque titolari del canone unico riferito alla occupazione di suolo pubblico e non anche della parte riferita al presupposto pubblicitario che resta, come nel previgente quadro normativo, di titolarità del Comune. Viene altresì garantita l’invarianza di gettito nella trasformazione dei diversi presupposti (comma 817). In tale quadro non devono dunque emergere dubbi allorquando i due presupposti non ricadono nella titolarità di un unico ente locale (…). Va infatti sottolineato come l’unicità del canone non può che essere riferita non al soggetto tenuto al pagamento del canone, bensì alla fattispecie di presupposto sottostante, che nel caso di occupazione di suolo pubblico provinciale con finalità di messaggio pubblicitario, non può che comportare il pagamento del canone unico a due distinti enti titolari del canone medesimo: il primo riferito all’occupazione del suolo pubblico (Provincia), il secondo riferito al messaggio pubblicitario (Comune). Unicità del canone unico non potrà che configurarsi nel solo caso di messaggio pubblicitario su installazione posta su demanio comunale (in questo caso i due presupposti di imposta sono ricondotti ad uno da un unico ente locale). Siffatta lettura dell’ambito applicativo del disposto del comma 820 è l’unica in coerenza con il disposto del precedente comma 816, lì dove si indica chiaramente che i destinatari del canone sono i Comuni, le Provincie e le Città metropolitane ma, principalmente, con il comma 819 che, nel fissare il presupposto del Canone per l’occupazione alla sua lett. a) precisa ” l’occupazione, anche abusiva, delle aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti e degli spazi sovrastanti e sottostanti il suolo pubblico.” Né pare coerente con la sistematica lettura della disciplina del canone, consentire l’occupazione di suolo pubblico appartenente alla Provincia e sol perché l’occupazione si sostanzi in un impianto pubblicitario, riconoscere quale unico destinatario dell’entrata il Comune (…). Non solo, ma la lettura meramente oggettiva dell’ambito applicativo del succitato co.820, così da prescindere dal soggetto destinatario del canone, inficerebbe anche la previsione del co.817 ed in particolare l’esigenza di assicurare un gettito quanto meno pari a quello conseguibile in base alle tariffe/canoni vigenti nell’anno 2020. Impraticabile infatti la soluzione, per tendere all’invarianza, di modificare le tariffe standard in una situazione nella quale si sottraggono le fattispecie di occupazione di maggiore frequenza come le occupazioni per gli impianti pubblicitari e quindi il gettito consequenziale, determinando così un ingiustificato e insopportabile carico economico attraverso la abnorme elevazione della tariffa standard per le residuali altre fattispecie di occupazione e nel contempo l’impossibilità, comunque di garantire un gettito adeguato, stante anche la natura sostitutiva del canone rispetto alle altre entrate soppresse. (…).».
Nell’aprile 2021 è la volta di IFEL (ANCI), che interviene con una nota di approfondimento.
Con questa nota di approfondimento l’IFEL sbaglia tutto sui centri abitati pervenendo a conclusioni del tutto inattendibili (su di esse vedi Canone unico patrimoniale: il nodo dei centri abitati), ma coglie nel segno per ciò che riguarda le consequenzialità connesse al duplice presupposto del canone: «(…) La prima considerazione da fare è che il nuovo prelievo ha sostituito i previgenti, senza però spostare la soggettività attiva da un ente all’altro. Pertanto, anche col nuovo canone unico la Provincia potrà continuare a pretendere solo la componente di canone unico collegata all’occupazione di suolo pubblico e non anche quella collegata alla diffusione dei messaggi pubblicitari. La nozione di canone “unico”, in altri termini, non trova applicazione nel senso della fusione delle quote oggetto di prelievo di competenza di enti diversi, non essendo tale confluenza prevista da alcun passo della legge 160/2019. Quindi, la Provincia continuerà, come in passato, a riscuotere il canone relativo alle occupazioni su strade provinciali (…). Un impianto pubblicitario installato (…) su strada provinciale realizza quindi entrambi i presupposti, in quanto concretizza una occupazione di strada pubblica di proprietà provinciale ed allo stesso tempo realizza una diffusione di messaggi pubblicitari nel territorio comunale. L’art. 1, comma 820 prescrive tuttavia che l’applicazione del canone dovuto per la diffusione dei messaggi pubblicitari esclude l’applicazione del canone dovuto per le occupazioni di suolo pubblico. In apparenza, quindi, sulla base di tale norma, l’impianto pubblicitario installato (…) su strada provinciale dovrebbe essere soggetto al solo prelievo comunale e non anche a quello provinciale, contrariamente a quanto accadeva in passato. Invero, il Dipartimento delle finanze in una risposta fornita all’interno dell’iniziativa Telefisco 2021 ha precisato che il principio per cui l’applicazione del canone dovuto per la diffusione dei messaggi pubblicitari esclude l’applicazione del canone dovuto per le occupazioni risponde “all’esigenza di evitare una doppia imposizione per la stessa fattispecie, principio che in passato era stato consolidato nell’art. 63, comma 3, del D. Lgs. n. 446 del 1997 e che nelle nuove disposizioni trova una sua completa attuazione, poiché ricomprende anche il caso in cui gli enti coinvolti sono diversi”. (…). A ben vedere, tuttavia, il comma 3 trattando delle occupazioni di suolo pubblico comunale o provinciale, va meglio contestualizzato. La ratio di tale norma era di impedire che per la medesima occupazione il Comune o la Provincia riscuotessero, ognuno per quanto di propria competenza, sia la Tosap/Cosap sia un altro canone. Tant’è che la stessa disposizione prevede che dalla Tosap/Cosap vada detratto l’importo di altri canoni, che ovviamente trovano il loro fondamento nella stessa occupazione. In tal senso si veda Consiglio di Stato, sentenza n. 5862/20188, ma anche Dipartimento delle finanze circolare n. 1/DF del 20 gennaio 2009. Quindi, dall’art. 63, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997 si possono evincere conferme solo sulla possibilità che la medesima occupazione non sia oggetto di più prelievi derivanti dallo stesso soggetto attivo, ma non certamente che la stessa occupazione non possa essere oggetto di più prelievi da parte di due soggetti attivi, ipotesi quest’ultima non contemplabile alla radice dall’art. 63, visto che l’occupazione di cui la norma tratta non può che essere collocata, alternativamente, o su suolo comunale o su suolo provinciale. Su questo punto, si deve ritenere che nulla sia cambiato con l’introduzione del Canone unico. Il divieto di applicare per la medesima occupazione sia la componente collegata all’occupazione sia quella collegata alla diffusione di messaggi pubblicitari va riferito al medesimo soggetto attivo (…). (…) il canone spettante alla Provincia o alla Città metropolitana ed il canone spettante al Comune si basano su due presupposti autonomi e diversi; ogni ente è un autonomo soggetto attivo ed ha autonoma facoltà regolamentare e tariffaria; il principio dell’assorbimento stabilito dal comma 820 non può che valere nei confronti di un unico soggetto attivo, e quindi solo nei confronti del Comune, unica ipotesi in cui la medesima occupazione può dar luogo sia ad un prelievo collegato all’occupazione sia ad un prelievo collegato alla diffusione di messaggi pubblicitari (…)».
Come si vede, a differenza di quanto è avvenuto sulla questione dei centri abitati, per ciò che concerne il significato da attribuire ai commi 819 e 820 si è consolidata nel tempo una convergenza verso la soluzione che vede il presupposto pubblicitario di cui alla lettera b) del comma 819 riferito ai soli Comuni, con il comma 820 conseguentemente applicabile soltanto a questi ultimi nell’ipotesi di installazione di mezzi pubblicitari in aree comunali.
Questa conclusione, dopo iniziali incertezze, sembra essere oggi condivisa anche dal Mef, che nella risposta a Telefisco 2022 ha affermato che “nel caso di diffusione di un messaggio pubblicitario su un tratto di strada che attraversa un centro abitato con popolazione non superiore a 10.000 abitanti, e quindi di competenza della provincia, quest’ultimo ente è legittimato a chiedere il versamento del canone per l’occupazione del suolo, a norma del comma 819, lettera a)” (v. Il canone unico e la rivincita delle province). E sul piano logico, ciò che vale per i tratti urbani delle strade provinciali (che attraversano centri abitati con popolazione fino a 10.000 abitanti) non può che valere anche per i tratti extraurbani delle medesime strade provinciali.
Conclusioni
Possono pertanto qui confermarsi le conclusioni cui già eravamo pervenuti:
- le occupazioni con mezzi pubblicitari di strade provinciali, sia fuori che all’interno di centri abitati con popolazione fino a 10.000 abitanti, sono soggette al canone per l’occupazione di suolo pubblico dovuto alla Provincia (o Città Metropolitana) e al canone per la diffusione dei messaggi pubblicitari dovuto al Comune (il comma 820 applicandosi soltanto ai Comuni per le installazioni di mezzi pubblicitari sulle aree comunali posto che solo in tale fattispecie si realizza la sussistenza del duplice presupposto, pubblicitario ed occupazionale, oggetto della disposizione);
- per tutte le altre occupazioni, diverse dagli impianti pubblicitari, il canone spetta esclusivamente alla Provincia (o Città Metropolitana) quando trattasi di strade provinciali, che tali rimangono anche quando attraversano centri abitati con popolazione fino a 10.000 abitanti (anche di Comuni con popolazione complessiva superiore a 10.000 abitanti) in virtù dell’articolo 2, comma 7, del codice della strada, cui il comma 818 dell’articolo 1 Legge 160/2019 fa espressamente (e oggi ancor più chiaramente) rinvio.
Fonte: https://www.studiocataldi.it/articoli/45339-canone-unico-centri-abitati-nella-legge-di-bilancio.asp
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