Per la Cassazione, cadono in comunione de residuo i crediti professionali, maturati durante il matrimonio ma non riscossi.
Crediti professionali maturati ma non riscossi
Nella vicenda portata all’attenzione della Cassazione, la moglie conveniva in giudizio l’ex coniuge al fine di far accertare e dichiarare il suo diritto ad ottenere il 50% dei proventi liquidati al convenuto con sentenza del 2009, sentenza successiva allo scioglimento della comunione.
La domanda veniva rigettata in entrambi i gradi di merito poichè il credito veniva ritenuto “non esigibile”.
Nel redigere congiuntamente questo ricorso è stata giustamente presa in considerazione la sottile differenza sul dato testuale dei due lettere della stessa norma e cioè tra tra “frutti” e “proventi”.
Differenza tra frutti e proventi
A differenza dei “frutti”, infatti, per i “proventi” non vi è distinzione tra quelli già riscossi e quelli ancora da riscuotere, tanto che per essi l’unica variabile determinante la loro acquisizione al regime della comunione de residuo è rappresentata dalla loro mancata consumazione. Ne consegue che tutto ciò che costituisce corrispettivo dell’attività svolta e che non sia stato ancora percepito integra, al pari dei proventi già percepiti, bene destinato alla contitolarità di entrambi i coniugi e ciò si verifica persino qualora dovesse trattarsi di diritti non esigibili. L’unica condizione richiesta è – si ribadisce – che si tratti pur sempre di proventi relativi a rapporti instaurati fino allo scioglimento della comunione, sicché anche quello che deve ancora ricavarsi da un’attività svolta fino al predetto momento spetta alla comunione residuale.
In altri termini, i proventi ricadenti nella previsione di cui all’art. 177, comma 1 lett. c), c.c. vanno individuati con riferimento a quelli sorti nel periodo in cui era perdurante la comunione legale e nella misura in cui permangono allo scioglimento della stessa, a prescindere dal momento in cui di fatto vengono riscossi dall’avente diritto.
il Tribunale e la Corte di Appello, infatti, si sono limitati a prendere atto che il suo credito era maturato fin dal 1979 e tale dato di fatto è del tutto insensibile alla circostanza che il suo ammontare è stato calcolato solo nel 2009 perché – si ribadisce – ciò non toglie nulla al fatto che il diritto al compenso era, comunque, sorto trent’anni prima della sua quantificazione.
In sintesi, il punto messo in discussione era che i proventi maturati nel corso del matrimonio, quantunque non riscossi al momento dello scioglimento della comunione, rientravano nella comunione residuale, sull’ovvio presupposto che, non essendo stati riscossi, nemmeno potevano essere stati consumati.
Orbene, accertato che il (diritto di) credito del marito era maturato in costanza di matrimonio ed esisteva in concreto al momento dello scioglimento della comunione (1996), esso, seppure non riscosso, costituiva una componente attiva del suo patrimonio (patrimonio generalmente inteso come insieme di rapporti giuridici attivi e passivi aventi contenuto economico, unificati dalla legge in considerazione dell’appartenenza al medesimo soggetto).
In conclusione, trattandosi di un provento non consumato, il credito professionale in questione deve farsi rientrare nella disciplina dell’art. 177 1 comma lett.c) c.c. e, perciò, deve considerarsi ritrasferito alla comunione differita, come stabilito dalla più volte ricordata Cass. 2597/06.
Ad ogni modo, il credito del marito era liquido per legge (art. 633 n. 3 c.p.c.) e, quanto all’esigibilità, non risulta essere sottoposto a termine o condizione, né la Corte aveva indicato l’esistenza di tali elementi o la fonte di essi.
(ovviamente, la sopravvenienza, costituita dal passaggio in giudicato della sentenza che aveva liquidato i proventi, era stata fatta presente attraverso il deposito della sentenza nel giudizio di appello.
La “sopravvenienza” era stata trattata anche con la comparsa conclusionale in appello.
Crediti professionali e comunione de residuo
Dando atto dei precedenti giurisprudenziali di altro avviso e delle critiche successive della dottrina, la Cassazione, con l’ordinanza n. 16993/2023 (sotto allegata) ha accolto il ricorso affermando che: “i proventi delle attività separate cadono nella comunione differita o de residuo anche se non ancora percepiti al momento dello scioglimento della comunione (come prescritto espressamente, invece, dalla lett.b) per i frutti dei beni personali, cfr. Cass. 1429/2018) ed anche se ancora non esigibili, in difetto di previsione in tal senso, purché costituiscano il corrispettivo di prestazioni o del godimento di beni relativi al periodo di vigenza della comunione legale”.
Tra essi sono compresi proprio i crediti che il professionista vanta verso clienti per prestazioni già eseguite e non ancora pagate.
Fonte: https://www.studiocataldi.it/articoli/46007-separazione-cadono-in-comunione-i-crediti-professionali-maturati-ma-non-riscossi.asp
(www.StudioCataldi.it)