Il nuovo orientamento della Cassazione penale in tema di mantenimento della prole.
Mantenimento figli e condanna ex art. 570 c.p.
La Corte di Cassazione, Sesta Sezione Penale, con la Sentenza n. 32576/2022 del 15 giugno 2022, depositata il 5 settembre 2022, afferma un principio di diritto rivoluzionario nell’ambito del diritto di famiglia ossia che occorre sempre effettuare un bilanciamento tra i diritti oggetto di contesa e nel caso specifico tra quello del padre di badare alle proprie spese necessarie e quelle dei figli di ricevere il mantenimento, prima di addivenire alla condanna ex art. 570 bis cod. pen.
La vicenda
Ed infatti, arriva sino in Cassazione il caso di un uomo condannato dalla Corte d’Appello di Venezia e ancor prima dal Tribunale di Treviso per aver omesso il versamento del mantenimento in favore dei figli.
Inutile la rappresentazione ai giudici di merito dello stato di indigenza sofferto dal padre, i quali hanno ritenuto di applicare sottoforma di una responsabilità pressoché oggettiva il reato di violazione degli obblighi di assistenza condannando l’uomo.
La rilevanza della volontà nell’omesso mantenimento
L’uomo, per il tramite del proprio legale, ricorre per Cassazione contro la condanna ricevuta sostenendo, tra le altre, la tesi dell’assenza dell’elemento psicologico del reato, ossia della volontà di omettere il versamento di quanto dovuto a titolo di mantenimento.
Lo stato di incolpevole impossibilità economica viene fatta risalire alla perdita di lavoro e ai tentativi di trovarne uno nuovo.
Prova dell’impossibilità assoluta di adempiere agli obblighi di mantenimento anche le ripetute richieste di prestito rivolte dal ricorrente a parenti ed amici per il proprio sostentamento.
Cassazione: la dignitosità della vita del padre esclude la responsabilità
La Suprema Corte analizzato il motivo di ricorso relativo al dolo del ricorrente conferma la correttezza del principio richiamato dalla Corte d’Appello circa la necessità di verificare che ove si tratti di impossibilità al versamento questa debba essere “assoluta”, ossia debba risultare da elementi ulteriori rispetto alla sola disoccupazione, quali l’assenza di introiti diversi da quelli promananti da un rapporto di lavoro.
Ciò sul presupposto che per “assolutezza” non si intenda uno stato di indigenza totale dell’obbligato, tale da rendere quest’ultimo del tutto privo dei mezzi di sostentamento, come evidentemente ritenuto in appello.
Al contrario, come si anticipava, l’assolutezza che rileva al fine dell’esclusione del dolo nella fattispecie di reato in esame è ben altra, secondo la Cassazione, e deve tener conto non solo dello stato di occupazione lavorativa del padre, bensì anche della possibilità di quest’ultimo di accedere a risorse economiche ulteriori e/o diverse.
Aggiungono poi i Giudici che tale circostanza deve essere valutata su un campo di bilanciamento col contrapposto diritto della prole di vedersi corrispondere il mantenimento.
Dunque non si ha più secondo la Corte una “automatica” responsabilità penale del padre per il mancato versamento del mantenimento, ma una valutazione delle ragioni sottostanti, tenuto conto della concreta situazione di fatto prospettata.
E così, dunque, pur dovendo assegnare prevalenza alla tutela dei figli e in ogni caso dei familiari c.d. “deboli”, in ossequio ai doveri di solidarietà di cui al Codice civile (artt. 433 e ss. c.p.c.), occorre, compiere una valutazione concreta del caso, sì da valutare gli interessi contrapposti in ottica di proporzionalità.
Entrano in gioco in tal modo diversi fattori di cui il giudice deve tener conto, esemplificati dai Giudici di legittimità come segue:
- importo delle prestazioni imposte;
- disponibilità reddituali dell’obbligato;
- necessità dello stesso di provvedere a proprie esigenze di vita egualmente indispensabili (tra cui vitto e alloggio);
- solerzia nel reperimento di nuove e/o ulteriori fonti di reddito;
- contesto socio-economico dell’obbligato, al fine di comprendere le effettive possibilità di questi di corrispondere il dovuto.
Il tutto con il limite, secondo la presente pronuncia, della possibilità del genitore obbligato di provvedere autonomamente ai propri bisogni primari, conducendo una vita dignitosa, trattandosi di diritto non comprimibile.
L’assicurazione di un livello di vita dignitoso costituisce secondo gli Ermellini la soglia minima invalicabile, all’interno della quale non può imputarsi alcuna responsabilità penale in capo al padre che omette il mantenimento della prole.
Alla luce del principio di diritto enunciato nella decisione in commento, la Cassazione ha accolto il ricorso del padre, condannato in primo e secondo grado ex art. 570 bis c.p.c., e rimesso gli atti alla Corte d’Appello perché provveda ad effettuare una nuova disamina del caso.
Fonte: https://www.studiocataldi.it/articoli/44930-nessun-reato-se-il-padre-non-mantiene-i-figli-per-poter-vivere.asp
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